Roma, 4 settembre 2014. Grande delusione degli architetti italiani per gli esiti a cui sembra avviato il Decreto Sblocca Italia che poteva e doveva essere il primo atto di una seria azione di investimenti intelligenti nell'edilizia e nella politica di rigenerazione delle città e dal quale risulta addirittura clamorosamente scomparso persino il Regolamento Edilizio unico.
"Rimettere mano alle città, a partire dalle sue periferie – sottolinea Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori in una lettera aperta inviata al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ai Ministri Lupi, Galletti, Franceschini, Madia e al sottosegretario Delrio – non solo risponde all' esigenza dei cittadini che vorrebbero vivere in luoghi sicuri, sani e più belli, ma crea anche le condizioni per riavviare il commercio, promuovere le iniziative imprenditoriali, valorizzare i beni culturali, richiamare gli investimenti".
Il percorso altalenante dello Sblocca Italia – per Freyrie – è il sintomo preoccupante che, ancora una volta, la bizantina vischiosità legislativa, se non viene affrontata con la forza di un progetto chiaro e condiviso, sterilizza anche le migliori proposte.
"Il Decreto – si legge ancora nella lettera – poteva e doveva porre le basi per far ripartire l'economia lanciando un progetto di Riuso delle città, con adeguati investimenti e norme adatte; mettendo a sistema, ed al servizio del progetto, le politiche importanti già varate o annunciate sul consumo del suolo, sui consumi energetici e la sicurezza degli edifici, sulle periferie, sulle scuole e gli asili nido, sui beni demaniali, sull'urbanistica e sui lavori pubblici, sulla tutela dei beni culturali".
Gli architetti italiani tuttavia non demordono nel chiedere che si avvii subito una politica nazionale di Rigenerazione Urbana Sostenibile, che è premessa fondamentale da cui dedurre le norme urbanistiche, edilizie e dei lavori pubblici e gli investimenti.
Chiedono anche, nella lettera, "lo spostamento di parte delle risorse disponibili dalle grandi infrastrutture alle città, essendo dimostrato che ogni euro di denaro pubblico investito nelle città – a differenza di ferrovie e autostrade – ne attrae quattro dal mercato privato; norme edilizie chiare e prestazionali, condivise su tutto il territorio nazionale, che favoriscano la qualità dell'abitare invece della buro-edilizia fonte, tra l'altro, di corruzione e di abusivismo; certezza dei diritti e delle procedure, con solo due modelli autorizzativi: la SCIA e il Premesso di costruire, dando massima trasparenza e pubblicità ai progetti – visibili a tutta la comunità dei cittadini – ma limitando nel tempo la possibilità sia per la P.A. che per i terzi di bloccare un'opera già approvata in via definitiva e in cantiere".
Ed ancora "la riapertura del mercato della progettazione pubblica giudicando sul merito dei buoni progetti e non su requisiti abnormi e arbitrari richiesti ai progettisti, uscendo dallo stato di illegalità certificato dall'Autorità di Vigilanza e dalle Direttive Comunitarie; linee guida nazionali sulla tutela dei beni monumentali e paesaggistici, per uscire dalle interpretazioni autocratiche e condividere un progetto che salvaguardi la bellezza dell'Italia".
"Caro Presidente – conclude la lettera – gli architetti italiani sono molto vicino al limite della sopravvivenza, con redditi da incapienti e disoccupazione giovanile mai vista prima: però non scioperiamo né ci incateniamo davanti a Palazzo Chigi. Poiché viviamo di progetti, continuiamo a credere che possiamo progettare per l'Italia un futuro migliore, con razionalità e capacità di visione. Chiediamo al Governo la stessa caparbietà e coraggio, ascoltandoci e attuando ciò che con tanti altri da tanto tempo proponiamo, lasciando che si sveli a tutti chi lavora per la conservazione di uno status quo che ha tutte le caratteristiche della Stige, la palude degli accidiosi, nella quale non vogliamo affogare".